ALLARME SULLE PENSIONI

giovedì 5 maggio 2011

CGIL, la pensione? Non bastano più neppure 40 anni di lavoro Urgente per la CGIL intervenire sul sistema previdenziale per tutti i lavoratori con 'carriere fragili'. Secondo il sindacato “le recenti misure ridimensionano le pensioni sia dei giovani, sia dei più anziani. L'Italia sta costruendo un'enorme platea di pensionati al minimo”. Le pensioni dei giovani che cominciano oggi a lavorare non raggiungeranno neppure il 50% della retribuzione, dopo 40 anni di contributi versati all'Inps. 04/05/2011 Condividi su: 
La CGIL condivide pienamente l'allarme rilanciato questa mattina dal Presidente Giorgio Napolitano, che ha parlato della previdenza come di un tema che oggi investe con drammatica urgenza le aspettative delle nuove generazioni. Da tempo la CGIL parla del problema della sostenibilità sociale del sistema previdenziale che - dal punto di vista finanziario - è al contrario in equilibrio anche per effetto delle tante riforme attuate. Esiste invece una vera urgenza di intervento a favore di tutti i lavoratori con carriere fragili (giovani e meno giovani), di tutti i lavoratori discontinui e di una grande fascia del mondo del lavoro con salari troppo bassi. Una situazione che deriva dalla precarizzazione dei rapporti di lavoro e dalle varie manovre degli ultimi anni che hanno progressivamente ridotto le prestazioni previdenziali pubbliche, come la recente modifica dei coefficienti di trasformazione attuata senza neppure un confronto con le parti sociali. Per questo il “cantiere previdenza” deve rimanere chiuso se per riapertura si intendono altri tagli alle pensioni pubbliche. Si tratta al contrario di ricostruire elementi di equità e solidarietà e non basta il richiamo al secondo pilastro della previdenza integrativa, anche perché ci sono larghissimi strati del mondo del lavoro, milioni di lavoratori, che non riescono per vari motivi ad accedere ai fondi previdenziali complementari.
La CGIL, in occasione dello sciopero generale, ripropone quindi il quadro della situazione reale delle pensioni pubbliche. Ecco i risultati del nostro studio:

Che succede alle pensioni pubbliche?
Le recenti misure ridimensionano le pensioni sia dei giovani, sia dei più anziani ai quali si applica il sistema “misto”. L'Italia sta costruendo un'enorme platea di pensionati “al minimo”. Le pensioni dei giovani che cominciano oggi a lavorare non raggiungeranno neppure il 50 per cento della retribuzione, dopo 40 anni di contributi versati all'Inps.
Pensioni ridotte al minimo vitale, slittamento dell'uscita dal mercato del lavoro per carenza di contributi versati, impossibilità di costruirsi una pensione decente da parte dei giovani che lavorano in modo discontinuo e senza contratti regolari. Ma anche abbassamento progressivo del “rendimento” (o tasso di sostituzione, ovvero rapporto tra pensione e ultima retribuzione) delle pensioni di chi ha cominciato a lavorare 15 anni fa. Le pensioni si stanno progressivamente assottigliando soprattutto a causa dell'applicazione dei nuovi coefficienti (mai verificati con le parti sociali), sia soprattutto una “platea” sempre più vasta di giovani lavoratori e lavoratrici che non riusciranno a ottenere assegni previdenziali decenti a causa della irregolarità e precarietà diffusa dei loro contratti. Per la prima volta nella storia delle pensioni pubbliche sono dunque penalizzati sia i lavoratori più “anziani”, sia i “giovani”. I padri contro i figli è già una storia del passato. L'allarme viene rilanciato dalla CGIL, alla vigilia dello sciopero generale, sulla base di un'analisi degli effetti dell'applicazione dei nuovi coefficienti in vigore da gennaio.
Lavoratori con carriere fragili che hanno cominciato nel 2010 a versare i contributi
Dalle simulazioni effettuate sulla base di ipotesi di salari di ingresso tre volte superiori all'assegno sociale attuale e ad un andamento dell'economia per i prossimi anni con un incremento medio del Pil dell'1,5%, un lavoratore assunto nel 2010, con carriere lavorativa intermittente, che dovesse andare in pensione all'età di 60 anni, con 35 anni di contributi versati potrà avere una pensione pari al 36,4% della sua retribuzione. Solo con 40 anni di contributi versati lo stesso lavoratore potrebbe ottenere una pensione pari al 41,6% della retribuzione.
Un lavoratore nelle stesse condizioni che decidesse però di andare in pensione a 61 anni, invece di 60, per arrivare ad una pensione intorno al 42% della sua ultima retribuzione dovrebbe lavorare 40 anni consecutivi. Sempre per un lavoratore assunto nel 2010 e che versi regolarmente i contributi all'Inps, dovrebbe arrivare a 65 anni, con 40 anni di versamenti per ottenere una pensione pari al 48,5% della retribuzione.
Lavoratori parasubordinati
Una particolare preoccupazione riguarda le prospettive previdenziali dei lavoratori parasubordinati, i quali sono soggetti ad un’aliquota previdenziale significativamente inferiore di quella a carico dei dipendenti (26% versus 33%, dopo anni di contribuzione con aliquote di computo ben inferiori anche al 15%) e, più in generale, dei lavoratori discontinui, data la scarsa rilevanza nel sistema di welfare italiano di schemi di ammortizzatori sociali e contribuzione figurativa ad essi destinati. Si consideri, in aggiunta, che tali lavoratori, rispetto ai dipendenti con contratto a tempo indeterminato, sono caratterizzati, oltre che nel caso dei parasubordinati da un’aliquota contributiva inferiore e dall'assenza di contribuzione per il TFR, sono caratterizzati, generalmente, da minori salari e maggiore discontinuità della carriera. In aggiunta, poiché, trovandosi a fronteggiare elevati vincoli di liquidità, è poco probabile che tali lavoratori possano volontariamente aderire a forme pensionistiche private integrative.
Carriere miste. Da parasubordinato a dipendente
Un'altra ipotesi adottata nelle simulazioni della CGIL riguarda il passaggio dal lavoro parasubordinato al lavoro dipendente vero e proprio. Sempre come ipotesi si è adottato il caso di stipendi pari a 3 volte l'assegno sociale con una intermittenza di reddito (contributi figurativi non versati) e carriere da lavoratori dipendenti con salari pari a 4 volte l'assegno sociale. Ebbene per queste figure specifiche (tra l'altro sempre più diffuse nel mercato del lavoro attuale) per avere una pensione pari al 34,4% della retribuzione percepita si dovrà andare in pensione a 60 anni, con 35 anni di contributi versati. Questi lavoratori dipendenti (ex parasubordinati) dovranno andare in pensione a 65 anni e versare almeno 40 anni di contributi per poter avere una pensione che non raggiungerà il 50% della retribuzione (48,8% per la precisione).
Anche con carriere lunghe pensioni basse
Dalle simulazioni si evidenziano aspetti molto preoccupanti: il tasso di sostituzione lordo è spesso ben lontano da un livello (solitamente ritenuto accettabile) intorno al 55-60%; a segnale di un fenomeno ancora più preoccupante (e a conferma di come nel sistema contributivo il solo tasso di sostituzione sia spesso un indicatore insufficiente delle prospettive previdenziali), in molte simulazioni carriere lunghe (anche se intermittenti) potrebbero non essere sufficienti per ricevere una pensione contributiva che ecceda l’entità dell’assegno sociale o il cui importo non sia talmente basso da dare diritto a ricevere come integrazione parziale tale trasferimento di carattere assistenziale (con le ovvie conseguenze, da un lato, in termini di stigma e disincentivi all’offerta di lavoro per i beneficiari, dall’altro, di impatto sul bilancio pubblico come maggior spesa assistenziale).
Tagli tra l'8 il 16% del valore delle pensioni
Applicando i nuovi coefficienti decisi dal governo scavalcando completamente la concertazione con le parti e già in vigore da un anno e mezzo (gennaio 2010), si evidenziano i veri tagli alle pensioni. Facciamo qualche esempio. Per un lavoratore di 60 anni con 29 anni di contributi versati, la perdita ammonta al 7,28%. Per un lavoratore con 25 anni di contributi versati e 60 anni di età anagrafica la perdita ammonta all'8,43%. Meno anni di contribuzione alle spalle e più riduzione della pensione. Per un lavoratore sessantenne con 20 anni di contributi la pensione perde il 10,49% del suo valore iniziale. Con 15 anni di contributi versati, il taglio è del 13,88%. Con 60 anni di età e 13 di contributi versati, la diminuzione del valore della pensione è pari al 16 % circa. La riduzione del valore delle pensioni si attutisce leggermente solo con l'innalzarsi dell'età anagrafica. In ogni caso anche pensioni di lavoratori di 65 anni con anzianità contributive che vanno dai 13 ai 29 anni subiscono tagli tra l'1,34% e il 2,95%.