LE PENSIONI DEGLI ITALIANI
SUI TAGLI ALLA SPESA SOCIALE
Festa di LiberEtà nel Veneto Orientale
Anche quest'anno, le quattro leghe dello SPI CGIL del Veneto Orientale
( Lemene, Livenza, Piave e Sile), organizzano LiberEtà in Festa.
LiberEtà è il mensile del Sindacato Pensionati della CGIL che con la festa in questione si intende divulgare.
La festa si terrà in due giornate (sabato 28 maggio e sabato 4 giugno)
SABATO 28 MAGGIO
Area festeggiamenti Giussago di Portogruaro
Ore 17,00 Caccia al Tesoro riservata a bambini dai 3 ai 10 anni
accompagnati da genitori o nonni.
Seguirà Cena, musica e ballo.
Ore 22,00 Estrazione lotteria.
SABATO 4 GIUGNO
Noventa di Piave - Palazzetto dello Sport - Via Guaiane,37
ore 21,00
SPARLA CON ME
Spettacolo teatrale con
D A R I O V E R G A S S O L A
ALLARME SULLE PENSIONI
Che succede alle pensioni pubbliche?
Le recenti misure ridimensionano le pensioni sia dei giovani, sia dei più anziani ai quali si applica il sistema “misto”. L'Italia sta costruendo un'enorme platea di pensionati “al minimo”. Le pensioni dei giovani che cominciano oggi a lavorare non raggiungeranno neppure il 50 per cento della retribuzione, dopo 40 anni di contributi versati all'Inps.
Dalle simulazioni effettuate sulla base di ipotesi di salari di ingresso tre volte superiori all'assegno sociale attuale e ad un andamento dell'economia per i prossimi anni con un incremento medio del Pil dell'1,5%, un lavoratore assunto nel 2010, con carriere lavorativa intermittente, che dovesse andare in pensione all'età di 60 anni, con 35 anni di contributi versati potrà avere una pensione pari al 36,4% della sua retribuzione. Solo con 40 anni di contributi versati lo stesso lavoratore potrebbe ottenere una pensione pari al 41,6% della retribuzione.
Una particolare preoccupazione riguarda le prospettive previdenziali dei lavoratori parasubordinati, i quali sono soggetti ad un’aliquota previdenziale significativamente inferiore di quella a carico dei dipendenti (26% versus 33%, dopo anni di contribuzione con aliquote di computo ben inferiori anche al 15%) e, più in generale, dei lavoratori discontinui, data la scarsa rilevanza nel sistema di welfare italiano di schemi di ammortizzatori sociali e contribuzione figurativa ad essi destinati. Si consideri, in aggiunta, che tali lavoratori, rispetto ai dipendenti con contratto a tempo indeterminato, sono caratterizzati, oltre che nel caso dei parasubordinati da un’aliquota contributiva inferiore e dall'assenza di contribuzione per il TFR, sono caratterizzati, generalmente, da minori salari e maggiore discontinuità della carriera. In aggiunta, poiché, trovandosi a fronteggiare elevati vincoli di liquidità, è poco probabile che tali lavoratori possano volontariamente aderire a forme pensionistiche private integrative.
Un'altra ipotesi adottata nelle simulazioni della CGIL riguarda il passaggio dal lavoro parasubordinato al lavoro dipendente vero e proprio. Sempre come ipotesi si è adottato il caso di stipendi pari a 3 volte l'assegno sociale con una intermittenza di reddito (contributi figurativi non versati) e carriere da lavoratori dipendenti con salari pari a 4 volte l'assegno sociale. Ebbene per queste figure specifiche (tra l'altro sempre più diffuse nel mercato del lavoro attuale) per avere una pensione pari al 34,4% della retribuzione percepita si dovrà andare in pensione a 60 anni, con 35 anni di contributi versati. Questi lavoratori dipendenti (ex parasubordinati) dovranno andare in pensione a 65 anni e versare almeno 40 anni di contributi per poter avere una pensione che non raggiungerà il 50% della retribuzione (48,8% per la precisione).
Dalle simulazioni si evidenziano aspetti molto preoccupanti: il tasso di sostituzione lordo è spesso ben lontano da un livello (solitamente ritenuto accettabile) intorno al 55-60%; a segnale di un fenomeno ancora più preoccupante (e a conferma di come nel sistema contributivo il solo tasso di sostituzione sia spesso un indicatore insufficiente delle prospettive previdenziali), in molte simulazioni carriere lunghe (anche se intermittenti) potrebbero non essere sufficienti per ricevere una pensione contributiva che ecceda l’entità dell’assegno sociale o il cui importo non sia talmente basso da dare diritto a ricevere come integrazione parziale tale trasferimento di carattere assistenziale (con le ovvie conseguenze, da un lato, in termini di stigma e disincentivi all’offerta di lavoro per i beneficiari, dall’altro, di impatto sul bilancio pubblico come maggior spesa assistenziale).
Applicando i nuovi coefficienti decisi dal governo scavalcando completamente la concertazione con le parti e già in vigore da un anno e mezzo (gennaio 2010), si evidenziano i veri tagli alle pensioni. Facciamo qualche esempio. Per un lavoratore di 60 anni con 29 anni di contributi versati, la perdita ammonta al 7,28%. Per un lavoratore con 25 anni di contributi versati e 60 anni di età anagrafica la perdita ammonta all'8,43%. Meno anni di contribuzione alle spalle e più riduzione della pensione. Per un lavoratore sessantenne con 20 anni di contributi la pensione perde il 10,49% del suo valore iniziale. Con 15 anni di contributi versati, il taglio è del 13,88%. Con 60 anni di età e 13 di contributi versati, la diminuzione del valore della pensione è pari al 16 % circa. La riduzione del valore delle pensioni si attutisce leggermente solo con l'innalzarsi dell'età anagrafica. In ogni caso anche pensioni di lavoratori di 65 anni con anzianità contributive che vanno dai 13 ai 29 anni subiscono tagli tra l'1,34% e il 2,95%.
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